Giungla


Omar Manini
Educatore socio-pedagogico e giornalista pubblicista, collaboro con scuole e magazine culturali allenandomi alla scrittura. Nato cinefilo, sono diventato grande appassionato del palcoscenico: adoro lasciarmi incantare dal suono delle parole, dall’incontro degli sguardi e dal peso dei silenzi. Da anni seguo le stagioni ERT di prosa e teatroescuola 0-18 per presentazioni, interviste e recensioni.
Prima dello spettacolo abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Roberto Anglisani: proprio una bella persona, di quelle con lo sguardo dritto, nitido, il volto sereno. Cosa c’entra con lo spettacolo Giungla che abbiamo poi visto in scena in quel di Buttrio? C’entra perché dentro l’interpretazione non c’era il mostrarsi o il mostrare, ma c’era il desiderio di comunicare, di far riflettere, di donarsi e donare proprio per mezzo di quello stesso sguardo sincero.
Dicevamo: quattro parole prima dello spettacolo a discorrere di teatro e condividere il dubbio di alcuni sulla capacità di attenzione dei ragazzi (in questo caso delle secondarie di primo grado, nda) che sicuramente, come d’abitudine, “anche oggi creeranno un po’ di confusione”. E, invece … giuro che raramente ho assistito a uno spettacolo con un pubblico così silenziosamente attento e incollato al palco, come in questo racconto teatrale ispirato a Il libro della giungla di Rudyard Kipling.
Merito di Anglisani che, sempre con lo sguardo in rivolto in platea, sviluppa una storia dove “non ci sono animali, ma solo bestie”. L’idea vincente dell’autore, Anglisani stesso, è stata quella di asciugare lo spirito sensibile ed esotico del romanzo originale e ambientare la storia nell’oggi, alla Stazione Centrale di Milano:
Una sera d’autunno, piove, la stazione centrale di Milano è piena di pendolari che tornano a casa dal lavoro. In mezzo alla folla, come se fossero invisibili si muovono otto… dieci ragazzini stranieri di età diverse. Sono guidati da un uomo con un lungo cappotto, una finta pelliccia di tigre: è Sherekhan. Mentre il gruppo si dirige verso l’uscita, uno dei ragazzi scappa nei sotterranei della stazione; si chiama Muli e non vuole più essere costretto sotto la minaccia delle botte a rubare e a mendicare per Sherekhan.
Anglisani porta in scena, con grande fluidità, un racconto partecipe, ma delicato, fatto solo di parole, voce e gesti, che avvolge gli spettatori e s’impreziosisce di una realistica ruvidità dove le descrizioni – “Baghera era una donna di colore prosperosa con le treccine che scendevano sul seno e le labbra come il pane” – hanno spessore e densità quanto le azioni di una storia attualissima fatta di soprusi, violenze, ricatti che sfociano nel loro contraltare: affetto, amicizia, ideali. Un filo che Anglisani riesce a mantenere sempre teso, senza orpelli né artifici – spoglia la platea, semplici le luci e rari i momenti sonori/musicali: il bellissimo folk-blues, perfetto nella descrizione del bar di Baghera, luogo d’incontro e conforto di anime ferite e vagabonde; il coinvolgente finale accompagnato dagli archi – restituendo al meglio sia i momenti più intimi e dolorosi sia le scene di massa, come il finale di rivolta.
Anglisani ci rende partecipi di un’avvincente viaggio verso le opposte indoli dell’essere umano; un racconto-metafora incandescente che esalta il valore dell’amicizia, della lealtà e di una sconfitta che ha il sapore di una grande vittoria.
Informazioni sullo spettacolo
- teatro di narrazione
- 60 minuti
- dagli 11 anni