La dea del cerchio
Omar Manini
Educatore socio-pedagogico e giornalista pubblicista, collaboro con scuole e magazine culturali allenandomi alla scrittura. Nato cinefilo, sono diventato grande appassionato del palcoscenico: adoro lasciarmi incantare dal suono delle parole, dall’incontro degli sguardi e dal peso dei silenzi. Da anni seguo le stagioni ERT di prosa e teatroescuola 0-18 per presentazioni, interviste e recensioni.
Appena entra in scena – molto scarna: un semplice tavolo in mezzo al palcoscenico – Marianna di Muro porta con sé una scatola e si rivolge subito ad una certa “Atena” parlando di “invidia”.
“Voi non l’avete mai provata?” chiede rivolgendosi al pubblico. “No, a me non è mai capitato!” urla un ragazzo dalle ultime file, scatenando l’ilarità dei compagni presenti.
È la forza del teatro ragazzi che sbaraglia la rigidità di una visione asettica, fondata sulla divisione in ruoli, pubblico vs protagonisti, e la riporta all’essenza di un dialogo tra emozioni.
Marianna di Muro, unica protagonista de “La dea del cerchio”, innesta subito la marcia e ci trascina nella storia di un’infanzia barese dai contorni che hanno il colore, e il calore, dell’autobiografia.
Anni ’80, si giocava all’aria aperta, tra amici. Giochi di fantasia o fantasiosamente riveduti. Nell’età delle estati che diventavano la narrazione di un’epica personale, una manciata di amiche si divide la piazzetta sotto casa, ognuna delle quali riesce a ritagliarsi il proprio spazio e le proprie attitudini, stampandosi per sempre nel collettivo album dei ricordi.
La di Muro usa la velocità affilata dell’ironia per trasformare piccole statuine in immagini ricche di sfumature, dando a ciascuna una voce, una personalità diversa e ben delineata.
Tutto si svolge all’ombra della statua di Atena, testimone impassibile di vittorie e drammi consumati in sfide all’ultima verticale, all’elastico o all’hula hoop, specialità in cui Marianna è la regina indiscussa. E, tra una simpatica testimonianza e affettuosi momenti quotidiani, emerge un quadro pulsante che dà voce alla grande bugia dell’infanzia: quella per cui tutto è possibile e chiunque vive in un mondo a sua immagine e somiglianza, nel quale il tempo della felicità si dilata all’infinito, sembrando eterno e incorruttibile. E fa capolino la grande verità della crescita, che prevede necessariamente lo strappo di quella menzogna. Estate, sul finire degli anni ’80: tra quelle amiche si inserisce Elisa, una bambina bellissima e capace, per naturale inclinazione, di svettare in ogni attività, incrinando l’equilibrato clima di certezze acquisito dal gruppo. Marianna, dopo l’iniziale scoramento e un risentimento invidioso, sarà capace di capirsi, accettarsi anche nelle brutte pieghe interiori e trasformare quella negatività in forza per rialzarsi; complici un compagno inizialmente emarginato e la trasmissione del mito di Atena e Aracne, saprà essere più forte di prima, riacquistando il titolo di “dea del cerchio”.
La struttura dello spettacolo consente di portare tra le righe un’importante riflessione sulla necessità di accettare l’imperfezione, anche emotiva, che incontriamo nelle tappe della nostra vita; sull’importanza di ascoltare e osservare quelle inadeguatezze emergenti per avere la forza di migliorarle, recuperando le energie nell’amicizia, nella cultura, nell’idea di poter riscrivere il proprio tempo. Il finale, in cui la statuetta si fa Marianna in carne e ossa che si staglia ondeggiando un cerchio luminoso, è veramente molto bello e centrato.
Marianna di Muro confeziona uno spettacolo molto divertente (delizioso l’arrivo dell’Elisa/Barbie), ma, allo stesso tempo, di ottimo spessore culturale che riesce a veicolare un profondo messaggio educativo inserito senza forzature nella linearità di un delizioso racconto teatrale. “La dea del cerchio” è così un’affabulazione partecipata che sa conquistare un pubblico pericolosamente sospeso proprio nell’età di quelle scoperte, di quelle conquiste e di quelle frustrazioni.