Omar Manini
Omar Manini

Educatore socio-pedagogico e giornalista pubblicista, collaboro con scuole e magazine culturali allenandomi alla scrittura. Nato cinefilo, sono diventato grande appassionato del palcoscenico: adoro lasciarmi incantare dal suono delle parole, dall’incontro degli sguardi e dal peso dei silenzi. Da anni seguo le stagioni ERT di prosa e teatroescuola 0-18 per presentazioni, interviste e recensioni.

Non sono un esperto di rugby, ma, parlando con amici che lo hanno praticato, ho sempre sentito dire quanto importante sia il cosiddetto terzo tempo, cioè quel momento nel quale, a fine match, le squadre vivono un’opportunità di condivisione, di scambio e di conoscenza, sostanziando il senso profondo dello sport che unisce, insegnando a superare le apparenti distanze e differenze.

Assistendo a “LàQua” di Koreja mi è venuto in mente proprio questo perché Emanuela Pisicchio e Maria Rosaria Ponzetta – bravissime attrici (e autrici) capaci di delicatezza  d’azione, sguardo e di bellezza nello sviluppare un canto teatrale caldo e accogliente – alla fine dello spettacolo danno grande spazio all’incontro relazionale ed emotivo, portando oggetti utilizzati (barchette di carta, lenzuola, contenitori, sonagli) ed effetti sviluppati precedentemente a diretto contatto con i bimbi, che sono invitati a interagire, suonare e giocare, annullando la distanza tra finzione teatrale e realtà.

Un’occasione che regala una dimensione intima, sensibile, empatica; un momento che segue una rappresentazione fondata sull’astrazione guidata dalle note di canti e cantilene fortemente caratterizzati da elementi tradizionali, folklorici, resi in una polifonia di voci e strumenti seguendo il dolce, avvolgente, ancestrale ritmo della lallazione, della sillabazione e della ripetizione.

Inizialmente i piccoli vengono accolti uno a uno e fatti accomodare su alcuni cuscini direttamente in scena. In sottofondo si sente lo scorrere incessante dell’acqua.

Su un piccolo set teatrale, completamente caratterizzato dal bianco, ritroviamo solo alcuni secchi metallici e le due performer, che accompagnano la danza di una barchetta sulle onde di un mare creato con ampie lenzuola. Il viaggio della piccola nave diventa esplorazione dell’ambiente attraverso una scoperta di sé, delle proprie “corde” sensibili e del proprio corpo.

“LàQua”, già dal titolo, è un inno d’amore alla parola, alle sue infinite trasformazioni e possibilità comunicative attraverso la metamorfosi, anche fonetica; parola che da immagine diventa racconto, filastrocca, e si fa suono; crea melodia e avvia un percorso che da un momento prima individuale, uno sguardo dentro di “sé”, diventa un’occasione collettiva sociale, una danza tra “noi”. Gli sguardi dei bambini, rapiti dai movimenti e presi per mano dalle sonorità, passano dalla stupefazione al sorriso, alcuni al pianto, ma sicuramente è un pianto di dialogo, fortemente espressivo e catartico.

Corpo, musica, movimento, oggetti: “LàQua” è una carezza per l’anima, un piccolo spazio che si fa mondo e che pian piano si colora di sorrisi, presenza, (inter)azione. Proprio come la vita.