Un cuore a pedali
Omar Manini
Educatore socio-pedagogico e giornalista pubblicista, collaboro con scuole e magazine culturali allenandomi alla scrittura. Nato cinefilo, sono diventato grande appassionato del palcoscenico: adoro lasciarmi incantare dal suono delle parole, dall’incontro degli sguardi e dal peso dei silenzi. Da anni seguo le stagioni ERT di prosa e teatroescuola 0-18 per presentazioni, interviste e recensioni.
Spente le luci in sala, si accendono sul palco. In un clima soffuso, tra fasci di luce e sulle note della gaberiana “Com’è bella la città”, entra in scena, pedalando, un personaggio sui generis: bici agghindata con fiori, cartelli, mappamondo, sacchi e molto altro, mentre lui abbigliato in maniera improbabile da apicoltore con una quantità imprecisata di oggetti casuali infilati su un cinturone. Fermatosi, finge stupore per i presenti, scende in platea e inizia a salutarci.
L’atmosfera è allegra e appare da subito chiaro il clima di surreale – ma solo apparente – entro il quale si muoverà lo spettacolo.
“Un cuore a pedali” è una conversazione diretta, frontale, rivolta al pubblico; una dichiarazione d’amore per il viaggio, sia esso quello della vita, sia quello del nostro quotidiano.
“Ognuno vede il mondo con i propri occhi. Per viaggiare veramente bisogna avere muscoli forti e mente aperta!”, dice il protagonista, aggiungendo cinque criteri indispensabili per viaggiare veramente e migliorare le nostre vite. Regole che indicano l’importanza del sogno, del “perdersi” per trovare, del raccontare storie per creare legami, dell’accoglienza e della poesia come mezzo di conoscenza.
Sul palco, Ippolito Chiarello definisce il suo personaggio un “agitatore di gente felice”, un raccoglitore/portatore errante di storie che si accompagna sempre a un “libro-quaderno-diario” dove sono inseriti appunti di Geofantastica, cioè racconti di vite in viaggio e viaggi di vite perché “non basta ascoltare, bisogna memorizzare, non basta sentire, bisogna scolpire nella testa e nel cuore.”
Ogni oggetto a sua disposizione ha un nome immaginario, ma una sostanza e un valore assolutamente necessario al nostro ordinario reale: ad esempio il “gigasole” è un girasole magico che si riscalda attraendo baci.
“Un cuore a pedali” si muove sul terreno apparente della fantasia, ma è fortemente ancorato alle necessità del reale ed è rivestito da un delicatissimo afflato autobiografico che ne sostanzia l’esperienza e gli dà una sostanza testimoniale.
“Un cuore a pedali” parla di paura per suggerirci elementi di superamento della stessa; tra questi l’incontro per scavalcare ogni timore e la visione del viaggio prima di tutto come attitudine del cuore, da allenare anche stando fermi.
Battute, giochi di parole, simpatia, interazione costante con i ragazzi in platea: sono tutti strumenti utilizzati a fondo, e compiutamente, per creare un clima rilassato, attento e pronto ad accettare suggerimenti di visione ampliata, alternativa, e punti di vista disallineati dalla massa e allineati a sé.
Attraverso l’esposizione di Chiarello, narrazione e riflessione si trasformano in poesia: una parola uguale per tutti, “bellezza”, registrata nei vari luoghi di rappresentazione, diventa un catalogo audio che fa capire come ogni voce, pur dicendo la stessa cosa, dia sfumature di colore, emotività, umanità ben differenti, capaci di suscitare sensazioni varie.
“Un cuore a pedali” si chiude regalandoci un ultimo omaggio: il racconto di un paesino in cui si creò la fiera dei sogni e dove un bambino imparò a sognare da un anziano che gli suggerì di camminare sulle nuvole.
Nella domanda di una bambina a fine spettacolo tutto il senso di questa avventura e di questo bellissimo racconto, che ha dimostrato di essere giunto a destinazione, nel cuore e nella testa di molti di noi: “Ogni persona che incontri a teatro diventa, come oggi, la tua famiglia?”.
“Un cuore a pedali” è stato un delizioso, intenso, divertente viaggio teatrale vissuto assieme, presi per mano da Chiarello. Un viaggio compiuto nella pancia del teatro, ma che continuerà a illuminarci nel ricordo e nel cuore del reale.
[Fotografie di Sabrina Alsido]