di Carlo Goldoni
drammaturgia di Piermario Vescovo

con Franco Branciaroli

e con Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Maria Grazia Plos, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Valentina Violo, Emanuele Fortunati, Andrea Germani, Roberta Colacino
in collaborazione con I Piccoli di Podrecca

regia di Paolo Valerio

scene di Marta Crisolini Malatesta

costumi di Stefano Nicolao

luci di Gigi Saccomandi

musiche di Antonio Di Pofi

movimenti di scena di Monica Codena

 

produzione: Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro de gli Incamminati, Centro Teatrale Bresciano

«Quale maggior disgrazia per un uomo, che rendersi l’odio del pubblico, il flagello della famiglia, il ridicolo della servitù? Eppure non è il mio Todero un carattere immaginario. Purtroppo vi sono al mondo di quelli che lo somigliano; e in tempo che rappresentavasi questa commedia, intesi nominare più e più originali, dai quali credevano ch’io lo avessi copiato».

Anche oggi non è raro incappare in un “brontolòn” come il Todero di Carlo Goldoni che precedeva la commedia racchiudendo queste riflessioni ne L’autore a chi legge e si stupiva di come un lavoro incentrato su un personaggio tanto odioso e negativo potesse aver ricevuto dal pubblico un tale successo. Sior Todero brontolòn, scritta nel 1761 e presentata al Teatro San Luca di Venezia l’anno successivo, fu infatti accolta con molto calore, ripresa per 10 repliche a gennaio e poi nuovamente a febbraio, a ottobre…

Sior Todero risponde – come carattere – al modello dei rusteghi, ma dei quattro burberi veneziani perde qualsiasi accento bonario. La trama lo vuole avaro, imperioso, irritante con la servitù, opprimente con il figlio e la nipote, diffidente e permaloso verso il mondo. Sembrerebbe impossibile empatizzare con una simile figura.
Eppure il capolavoro di Goldoni – e la figura di Todero, scritta in modo magistrale – sono stati molto ambiti dai teatri e dai più grandi attori, da Cesco Baseggio, a Giulio Bosetti, a Gastone Moschin.
Ora questo indifendibile “brontolòn” attira un maestro del palcoscenico contemporaneo come Franco Branciaroli, che – diretto da Paolo Valerio – ne offre una nuova straordinaria e inaspettata interpretazione.
Dopo l’originale e dissacrante interpretazione di Shylock nel Mercante di Venezia shakespeariano, Paolo Valerio e Franco Branciaroli si apprestano a stupire il pubblico con la rilettura di un classico del teatro italiano, che molto ancora può suggerire alla sensibilità contemporanea.
Basti pensare – a fronte di una figura di protagonista tanto imponente e attrattiva – al ruolo sottile e risolutivo che Goldoni affida, nella commedia, al mondo femminile, l’unico che nello sviluppo drammaturgico appare pienamente positivo: sarà l’alleanza fra la coraggiosa nuora del vecchio avaro e l’intelligente vedova Fortunata a salvare la giovane Zanetta da un matrimonio impostole per mero interesse e foriero di infelicità. Sarà riconsegnata all’amore generoso e vero in un finale che – in tempi in cui il concetto di “patriarcato” domina le nostre cronache nelle sue accezioni più distorte e plumbee – intreccia in prospettiva, alla gioiosità della risoluzione, una venatura di turbamento.

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